Il Ritmo Circadiano. Essenziale per il benessere e la salute

Dott. Pierluigi Innocenti, Neurologo e Presidente ASSIREM

Durante l’evoluzione tutti gli organismi hanno sviluppato dei ritmi endogeni sincroni con l’alternarsi del buio e della luce ambientale dovuto alla rotazione della terra intorno al proprio asse.
I ritmi circadiani sono delle variazioni prevedibili di funzioni e processi dell’organismo che hanno il compito di prepararci in anticipo ad affrontare al meglio le varie attività nel corso delle 24 ore.

Il ritmo circadiano fu così chiamato da Franz Halberg perché è un ritmo endogeno che si ripete approssimativamente ogni 24 ore (dal latino circa diem). Esso è presente non solo nell’uomo e negli animali, ma anche nelle piante, nei funghi e nei batteri.
Il primo a descrivere un ritmo circadiano fu un astronomo e geofisico francese, Jean Jacques Dortous de Mairan, il quale nel 1729 osservò come le piante di mimosa pudica aprivano e chiudevano le foglie nell’arco delle 24 ore con una ritmicità stabile, anche quando venivano tenute in condizione di buio costante. Non era quindi l’alternarsi della luce e del buio che causava l’apertura e la chiusura delle foglie come prima si riteneva, ma un ritmo interno alla pianta stessa.
Nel 1938 Nathaniel Kleitman e il suo giovane assistente dimostrarono la presenza di questi ritmi anche nell’uomo con l’esperimento nella grotta di Mammoth. Si isolarono nella profondità della grotta, a 150 metri, per 32 giorni, in condizioni di temperatura costante, totale assenza di luce naturale, assenza di rumori, e misurarono i loro ritmi fisiologici. Quando risalirono, i dati delle misurazioni testimoniarono la presenza dei ritmi circadiani anche nell’uomo, in particolare la curva della temperatura corporea manteneva le stesse oscillazioni che in superfice (1).

Nella specie umana il ritmo circadiano regola molte funzioni, innanzi tutto il ritmo sonno-veglia, ma anche l’attività cerebrale, le oscillazioni della temperatura corporea, le variazioni di pressione del sangue, la produzione di ormoni, l’attività del sistema immunitario, la forza e la coordinazione muscolare e numerose altre attività biologiche. Esso dipende da un “orologio interno” che viene mantenuto sincronizzato con il ciclo naturale giorno-notte da stimoli esterni (Zeitgebers), il principale dei quali è la luce solare, ma risente anche della temperatura ambientale, dall’alimentazione, dall’attività fisica o da stimoli sociali.

L’orologio biologico nei mammiferi, e quindi nell’uomo, è situato nel cervello nella parte anteriore dell’ipotalamo ed è il nucleo soprachiasmatico (SCN), un raggruppamento cellulare di circa 45,000–50,000 cellule (2), molto piccolo se si pensa che il cervello umano ha circa 86 miliardi di cellule. Le cellule che lo compongono presentano un’attività ciclica di circa 24 ore sia in vivo che in vitro, ed è alla base dei ritmi circadiani. Alcuni studi hanno dimostrato come la rimozione del SCN alteri i ritmi circadiani nell’animale da esperimento (3-4), mentre il reimpianto ne ripristini la funzione (5).

Oltre al SCN, che è l’orologio principale, esistono anche “orologi periferici”, presenti in tutti gli organi, che hanno il compito di regolare l’attività degli organi stessi.
Il SCN ha il compito di sincronizzare il funzionamento di tutti gli orologi periferici attraverso segnali che viaggiano lungo le vie nervose e con la produzione di ormoni, rendendo possibile non solo il quotidiano alternarsi del ciclo sonno-veglia, ma anche variazione della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa, la secrezione di ormoni, il rafforzamento delle difese immunitarie, l’attività del sistema gastrenterico ecc.
Per garantire il miglior funzionamento di tutti gli apparati ed organi, è necessario che il nostro orologio biologico (SCN) sia sincronizzato con l’ambiente esterno, in particolare con l’alternarsi del buio e della luce determinato dalla rotazione della terra intorno al proprio asse nelle 24 ore. Come dire che l’orologio biologico, il nucleo soprachiasmatico, deve segnare la stessa ora dell’orologio ambientale.
Purtroppo i nostri ritmi di vita hanno sempre più spesso determinato una desincronizzazione del nostro orologio biologico con l’orologio ambientale con importanti conseguenze per il nostro benessere e la nostra salute. Una percentuale sempre più elevata di persone è costretta a lavorare di notte quando per il nostro orologio biologico è l’ora del sonno. I giovani svolgono attività sociali nelle ore notturne quando il nostro orologio biologico è programmato per dormire. I voli a lunga distanza, in cui si superano vari fusi orari, creano una desincronizzazione tra l’ora biologica nel nostro cervello e l’ora ambientale del paese di arrivo (jet-lag). Ma questi sono solo alcuni esempi di desincronizzazione del nostro orologio biologico con l’ora ambientale. Le ricerche scientifiche ci dicono in modo sempre più evidente come un’alterazione dei ritmi circadiani sia poi alla base di molte patologie (6) tra cui insonnia ed altri disturbi del sonno (7-8), patologie cardiocircolatorie (9-10), malattie neuropsichiatriche quali depressione e demenza (11-12), infezioni (13-14), sindrome metabolica (15) e tumori (16-17).
È quindi necessario promuovere percorsi di educazione sociale rivolti alla popolazione generale ma con particolare attenzione alle giovani generazioni affinché sviluppino degli stili di vita rispettosi del proprio ritmo circadiano, perché solo se siamo in sintonia con esso possiamo salvaguardare il nostro benessere e la nostra salute.

Dott. Pierluigi Innocenti
Neurologo
Presidente ASSIREM


BIBLIOGRAFIA
1) Sleep and Wakefulness. Nathaniel Kleitman, Chicago, IL: The University of Chicago Press. 1939.
2) Hofman MA, Fliers E, Goudsmit E, Swaab DF. Morphometric analysis of the suprachiasmatic and paraventricular nuclei in the human brain: Sex differences and age-dependent changes. Journal of Anatomy. 1988
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5) Lehman MN, Silver R, Gladstone WR, Kahn RM, Gibson M, Bittman EL. Circadian rhythmicity restored by neural transplant. Immunocytochemical characterization of the graft and its integration with the host brain. Journal of Neuroscience. 1987; 7:1626–1638. [PubMed: 3598638]
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